“Continuerà a lavorare il medico che ha ordinato di legarti mentre dormivi, quello che ha deciso che non dovevi essere mai slegato, quello che ha deciso che la tua famiglia era meglio tenerla lontana da te”. Sono alcune delle parole apparse in un post di Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni, insegnante cinquantottenne morto in seguito a un Trattamento sanitario obbligatorio e al successivo ricovero in condizioni disumane, testimoniato dalle telecamere di videosorveglianza dell’ospedale di Vallo della Lucania. Il 15 novembre scorso, la Corte d’Appello del Tribunale di Salerno ha condannato 6 medici e 12 infermieri per falso ideologico, sequestro di persona e morte in conseguenza di altro reato. “Sicuramente il risultato della sentenza è positivo – commenta Grazia Serra a Ofcs.Report – i giudici hanno riconosciuto le responsabilità degli infermieri che in primo grado erano stati assolti. Rimane poco chiara la diminuzione delle pene per i medici, ma per conoscere le motivazioni dobbiamo aspettare. Saranno rese note entro 90 giorni”.
A otto anni dalla morte di Francesco Mastrogiovanni, Grazia continua a chiedere giustizia assieme alla sua famiglia, preoccupata perché in secondo grado di giudizio è stata revocata l’interdizione dai pubblici uffici per gli operatori sanitari ritenuti colpevoli. In sostanza, nonostante medici e infermieri siano stati considerati responsabili della morte di Mastrogiovanni, tutti continuano a svolgere il loro lavoro come se nulla fosse. “Non ci fermeremo qui – continua la donna – il caso di mio zio è importante per quello che emerge dal video girato dalle telecamere all’interno di uno di questi posti che, il più delle volte, sono chiusi. Se necessario potremmo rivolgerci anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché si è trattato di una grande violazione dei diritti umani”. Il video integrale delle 87 ore di sofferenza di Francesco era stato pubblicato dall’Espresso nel 2012.
Nel frattempo, attraverso l’hashtag #DiamoVoceaFranco, chiunque può colmare simbolicamente il diritto di parola che sarebbe stato negato al maestro elementare durante il ricovero, e sostenere così la campagna di solidarietà assieme ad alcune voci dello spettacolo, da Paolo Virzì a Moni Ovadia. Ma questo hashtag, come ci spiega Grazia Serra, non è dedicato solo a Francesco. “Vuole mantenere alta l’attenzione sulla vicenda di mio zio, ma vuole chiedere anche giustizia per le altre persone morte in circostanze simili. Per questo ci battiamo per l’introduzione del reato di tortura”. L’iniziativa è stata lanciata pochi giorni prima del processo d’Appello, ma continuano a essere pubblicati nuovi videomessaggi. “Sempre più persone ci stanno supportando. Proprio per questo abbiamo deciso che l’iniziativa deve continuare, perché quello che vogliamo è un cambiamento culturale che riguardi il mondo della psichiatria”.
Nell’estate del 2009, Francesco Mastrogiovanni viene fermato lungo la costiera del Cilento. Accusato di aver attraversato un’isola pedonale con la sua automobile, viene caricato su un’ambulanza. Ancora oggi, le motivazioni reali del ricovero coatto rimangono oscure. Una volta in ospedale, Mastrogiovanni viene legato a un letto e rimane lì, immobilizzato e nudo, senza ricevere acqua né cibo. Grazia prova a varcare la porta gialla del reparto di Diagnosi e Cura per fare visita allo zio. Ma viene respinta e rassicurata dai medici. Franco muore dopo 87 ore di agonia. “Mi dissero che era meglio non vederlo perché stava riposando serenamente”.