Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia. Queste regioni italiane hanno un comune denominatore: la mafia cinese. Secondo i rapporti della Dia (Direzione investigativa antimafia, e della Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) che l’ha definita la “quinta mafia” italiana, è particolarmente radicata a Roma, Napoli, Firenze, Prato, Milano e Padova. Questo nonostante in Italia sia luogo comune pensare che la mafia sia un “business” esclusivo della camorra siciliana, campana e della n’drangheta calabrese. Ma ad allungare i suoi lunghi tentacoli da tempo ormai c’è anche la “Triade”, che ha come simbolo la testa di un dragone e che nel nostro paese ha trovato un vero e proprio paradiso di loschi investimenti fatto di strategiche alleanze e business milionari con le mafie nostrane.
Simile alla mafia siciliana, anche la struttura delle famiglie mafiose cinesi hanno riti d’iniziazione e giuramenti. Per entrarne a far parte sembrerebbe sia richiesto un giuramento di rito, a cui segue l’obbligo di bere una bevanda di infuso di riso in cui sono state versate anche alcune gocce del proprio sangue. Molto spiccato il senso dell’onore e il concetto del perdere la faccia o della vendetta. A questo proposito se qualcuno riceve un gladiolo rosso è il segno della condanna a morte, e chiunque della comunità è legittimato ad ucciderlo.
Green Dragon, Black Society e Red Sun, secondo i report dell’Interpol sono fra le gang criminali cinesi più organizzate. Dopo aver messo “gli artigli” su Milano, sono riuscite infatti ad espandersi anche oltre i confini italiani come in Francia, Svizzera e Austria.
Transcrime, il centro di ricerca di criminologia dell’Università Cattolica di Milano, invece, in un rapporto pubblicato nel 2013, evidenziava come in Italia la mafia cinese investa nel commercio, nel tessile, nella ristorazione e nei numerosi punti di money service. Attività (non tutte ovviamente) che vengono sovvenzionate da soldi sporchi, provenienti dalla gestione illegale dei flussi migratori, dal traffico e spaccio di droga, dallo sfruttamento del lavoro e della prostituzione e nell’usura a danno degli stessi connazionali. Non solo, fra i vari “affari” della mafia cinese c’è anche il traffico illecito di rifiuti e a seguire il riciclaggio di denaro, la contraffazione e il contrabbando di merci.
I nuovi adepti, come scoperto dalla Polizia di Frontiera, partono principalmente da Hong Kong, definita la “base operativa” della mafia “made in china”. Una volta arrivati in Italia cominciano da subito a seguire gli “affari di famiglia”. E non viaggiano via mare o via terra, stipati in qualche camion o barcone. Partono muniti di un visto turistico, tranquillamente in aereo e facendo scalo negli areoporti internazionali di Fiumicino o Malpensa. Poi di loro non si sa più nulla.
La Direzione nazionale antimafia sostiene, sempre nella sua relazione, come le città di Firenze e Prato siano state quelle prese d’assalto dalla criminalità cinese. Riscontrando peraltro maggiori difficoltà a livello investigativo rispetto alle indagini sulle altre cosche mafiose. Questo perché i traduttori e interpreti di lingua cinese, sono insufficienti a ricoprire l’importante e delicato compito delle intercettazioni, modus operandi principale nelle indagini di questo genere. Nonostante le evidenti difficoltà a Firenze, tempo fa, è stato scoperto un trasferimento di denaro verso la Cina, pari a oltre 4 miliardi di euro, naturalmente eseguito in uno dei loro negozi “money trasfer”.
Anche a Roma, dove riuscire ad indagare ed entrare nella criminalità romana cinese è complicato, si è arrivati però a capire come operano questi clan stranieri. Infatti, se inizialmente la mafia cinese è arrivata in Italia per gestire l’immigrazione clandestina e le estorsioni all’interno delle loro comunità, in seguito grazie all’apertura di numerosi esercizi commerciali è avvenuta una vera e propria colonizzazione.
Nella capitale fra i quartieri più invasi dai cinesi c’è quello di Torpignattara, zona periferica fra la Casilina e Prenestina, piazza Vittorio, Esquilino e Tuscolana.
Tra le “chinatown della capitale”, Torpignattara e piazza Vittorio, hanno visto sorgere, a ritmi inarrestabili, molteplici esercizi commerciali. Questo grazie alla facilità di denaro contante di cui dispongono i clan. Tutto a beffa e danno dei commercianti italiani che, non disponendo di cifre simili, non riescono a competere con loro sull’acquisto o affitto di locali da adibire ad attività commerciale.
Ogni cosa viene decisa e preventivata a tavolino da queste organizzazioni che si occupano di tutto: rilevamento dell’attività, la zona giusta, i contatti necessari per l’acquisto, l’arredamento e, cosa fondamentale, la scelta del nucleo familiare (cinese) che andrà a gestire questa nuova attività commerciale. Ma non si tratta di un atto di generosità, tutt’altro. Oltre ad essere sfruttata, la famiglia in questione si vedrà richiedere, a tassi maggiorati, i soldi anticipati. E se qualcosa va storto, le conseguenze possono essere terribili. Perché, un altro dato non da trascurare, è la riconoscibilità di queste persone. I tratti somatici dei cinesi inducono molte volte a confonderli l’uno con un altro. Come scambiare un coreano per un giapponese e viceversa. Questa difficoltà per gli italiani e per le forze dell’ordine stesse, è sfruttata a dovere da questi clan, soprattutto quando all’improvviso un loro connazionale “sparisce”. All’interno della comunità criminale cinese, infatti, gli omicidi sarebbero all’ordine del giorno, ma per gli inquirenti è molto difficile venirne a conoscenza proprio per i motivi suddetti. Al momento della scomparsa del malcapitato, è uso che i suoi documenti vengano presi da un suo connazionale, certi che nessuno se ne accorgerà. Alla famiglia della vittima non resterà che continuare a lavorare per i clan nella speranza di estinguere il debito. Queste persone sono, il più delle volte, immigrati clandestini. Fra i tanti business cinesi il traffico di immigrati clandestini costituisce, di fatto, un traffico di schiavi, con una vera e propria attività di compravendita di esseri umani a fini di brutale profitto. Il clandestino che giunge in Italia rimane strettamente assoggettato al vincolo del debito da estinguere con chi ha pagato il prezzo della sua liberazione, o meglio, del suo riscatto: ciò avviene attraverso il lavoro nelle aziende, tessili e di pelletteria, di proprietà di connazionali, con la costrizione a subire orari di lavoro interminabili, con una retribuzione certamente inadeguata e non proporzionata alle prestazioni. Rapine, furti ed estorsioni sono reati interni alla comunità, consumati da cinesi a danno degli stessi connazionali.
Nel quartiere romano di Torpignattara, i residenti ormai non ci fanno più caso, parliamo di quelli più giovani che vivono la multi etnicità di questa zona fin dalla nascita. Ma chi, invece, molti anni prima ha deciso di vivere qui, non riesce ancora ad accettare questo cambiamento. Il quartiere, infatti, assomiglia sempre di più a una delle tante banlieu francesi. Qui la presenza d’immigrati stranieri raddoppia di gran lunga la percentuale di residenti italiani. Abbiamo cercato di testare gli animi dei residenti. Una signora, proprietaria di un bar, racconta di come lei stessa sia stata avvicinata da questi clan e di come abbia resistito al loro assalto: “Una mattina, mi sono vista entrare tre uomini, di nazionalità cinese. Parlavano italiano stentato, ma hanno fatto capire subito cosa volevano. Mi hanno proposto una cifra superiore al valore della mia attività e tutto in contanti”. Una proposta allettante visto i tempi. “Certo – aggiunge la donna – ma questo bar appartiene da tre generazioni alla famiglia di mio padre e seppur con difficoltà ho detto, no. Sono tornati altre tre volte, ma la risposta è rimasta quella”.
E se a Torpignattara il business dei clan con gli occhi a mandorla sono gli esercizi commerciali, è piazza Vittorio Emanuele la vera China Town di Roma. Qui intere strade sono piene di negozi appartenenti ai clan criminali dagli occhi a mandorla, ma la maggior parte di questi (non tutti ovviamente) sono solo delle facciate che nascondono retrobottega dove si svolgono attività legate al gioco d’azzardo e riciclaggio di soldi provenienti da prostituzione e traffico di droga.
La prostituzione, in particolare, avviene in appartamenti preventivamente acquistati o presi in affitto sempre dai clan cinesi. Secondo gli inquirenti ogni singola prostituta garantisce alla mafia made in china almeno un migliaio di euro al giorno. I clienti vengono adescati sui vari siti internet o su semplici annunci di giornale. Sembra ci siano addirittura dei centralini adibiti appositamente per smistare le richieste dei clienti.
Questo accade non solo a Roma, ma anche a Firenze, Pescara, Milano, Avellino, Palermo, Cesena e Prato. Proprio qui, un anno fa gli agenti della squadra mobile hanno posto sotto sequestro un locale e hanno eseguito dieci misure cautelari nei confronti di 9 persone di origine cinese. Il blitz era avvenuto in quello che ufficialmente doveva essere un circolo socio culturale e, invece, in realtà era un vero e proprio night club dove i clienti potevano trovare prostitute cinesi e sostanze stupefacenti come cocaina, ketamina ed ectasy
E proprio a Milano, nell’ambito dell’attività di contrasto delle bande giovanili cinesi, nell’ottobre scorso sono state arrestate 68 persone di nazionalità cinese. Sequestrati, per un valore di vendita al dettaglio pari a circa 2 milioni di euro, circa 3,5 chili di shaboo, la potente metanfetamina conosciuta come la droga più potente e pericolosa al mondo capace di annientare le coscienze di chi ne fa uso. Il traffico avveniva tra le province di Milano, Monza e Brianza, Cagliari, Cremona, Como, Parma, Pavia, Prato, Rovigo, Treviso e addirittura contestualmente anche in Austria, Polonia, Romania e Spagna e Gran Bretagna. Ma nonostante questo, da parte della polizia, ogni volta risulta difficilissimo arrestarli. Questo perché la Triade fa in modo di usare, in Italia e all’estero, appartamenti a rotazione fra prostitute, spacciatori e normali famiglie cinesi. Tutto, naturalmente, al fine di mandare in confusione le indagini delle forze dell’ordine.
Sull’andamento di queste organizzazioni criminali abbiamo interpellato il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che ha affermato: “Ad oggi, seppur i tentacoli di questa mafia si sono allungati su diverse delle nostre regioni italiane e non solo, stando ai dati dell’ultimo rapporto del 2015 della relazione della Direzione nazionale antimafia, sembra che non vi siano stati ulteriori incrementi di questo fenomeno. Di certo non abbasseremo l’attenzione su queste organizzazioni criminali”.