Arrivano le regole per gli HomeRestaurant, i ristoranti casalinghi che rappresentano il lato food della sharing economy, un fenomeno che sopratutto in Italia ha solleticato l’interesse di molti e che una volta normato dal legislatore potrebbe registrare una forte espansione. Da mesi associazioni di categoria e chef casalinghi rivendicavano un testo che mettesse ordine nel concitato universo dell’homefood : se i ristoratori in questi mesi hanno sempre lamentano il rischio di una concorrenza sleale, svincolata da tutti quei rigidi controlli ai quali loro sono sottoposti, dall’altro gli aspiranti cuochi da appartamento reclamavano a gran voce il diritto di lavorare avendo però un quadro chiaro delle regole da rispettare.
In Italia organizzare cene in casa invitando sconosciuti è una pratica in voga da quasi due anni e fino ad oggi chi decideva di accendere i fornelli lo faceva in un contesto di vuoto normativo che, numeri alla mano, non poteva durare oltre. Secondo il Centro Studi Turistici nel 2014 oltre trecentomila italiani hanno mangiato in un HomeRestaurant.
Eccoli quindi i principali punti in discussione in questi giorni in Parlamento. In un anno non si potranno superare i 5 mila euro di incasso ed avere più di 500 coperti, inoltre ci sarà l’obbligo del pagamento elettronico e quello di iscriversi ad una piattaforma digitale che gestirà prenotazioni e pagamento, ogni proprietario infine di casa dovrà stipulare una assicurazione per eventuali infortuni e dovrà risiedere in quella casa da almeno un anno.
Considerando che si parla di somministrazione di cibo e bevanda manca, in questo testo, un aspetto che dovrebbe essere fondamentale: il controllo e la sicurezza sugli alimenti. Se il testo venisse approvato così com’è non ci sarebbe alcun obbligo da parte delle Asl di controllare gli ambienti degli Home Restaurant né tantomeno certificare che gli alimenti siano trattati e conservati secondo gli standard della ristorazione classica. Non importerà quindi se la cucina sia linda e pinta o versi in condizioni di igiene precario.
Il motivo è presto detto: l’attività si svolge dentro una abitazione privata e non in un pubblico esercizio e nelle case private l’Asl non ha competenza. Questo aspetto non è passato inosservato alle associazioni di categoria, tanto che Esmeralda Giampaolo, presidente nazionale Fiepet-Confesercenti, non ha usato mezzi termini nel commentare il testo di legge: “Vedo una sorta di schizofrenia, da un lato abbiamo norme severe, comunitarie, nazionali e locali, che disciplinano in maniera puntuale il settore della somministrazione di alimenti e bevande sulla base di un criterio di fondo: la tutela del consumatore. Dall’altro però si concede a chi pratica queste attività di non rispettare tali norme, perché non ci sono controlli. Il discrimine non è a quante persone si prepara da mangiare. Ma come lo si fa, in termini di qualità e rispetto della sicurezza igienico-sanitaria”.
La qualità degli alimenti, e la garanzia che la loro manipolazione, lavorazione e conservazione avvenga correttamente, è lasciata quindi al buon cuore del padrone di casa. Nessuna Asl potrà controllare. Spiega Angelo Senaldi, deputato Pd e relatore della proposta di legge, “si tratta di case private e attitivà che rappresentano solo una piccola integrazione al reddito, secondo il parere della Commissione non è possibile inserire controlli delle Asl. Altrimenti diventerebbero uguali a un esercizio pubblico”.
L’impressione è che la Commissione sviluppo e turismo che ha redatto il testo della legge abbia considerato questo aspetto della sharing economy più come un passatempo per qualche amante di MasterChef piuttosto che come una possibile attività con la quale abbattere la curva dei costi fissi.
“Leggendo il testo di legge è facile scorgere delle contraddizioni: innanzitutto è evidente che la priorità del testo non è la tutela del consumatore finale ma la limitazione di questa attività. Se l’HomeRestaurant non è considerata attività commerciale perché allora si richiede la comunicazione della Scia? E ancora: ci si concentra, a mio avviso in modo illiberale e anacronistico, sui limiti dei coperti e sui tetti di guadagno e non ci si preoccupa minimamente di controllare, ad esempio, che la carne venga conservata in frigo”, spiega Daniela Chiappetti che nel 2014 è stata l’apripista italiana del fenomeno aprendo la sua casa romana agli sconosciuti e portavoce degli HomeRestaurant romani.
Appare quindi evidente come il testo della legge in discussione in questi giorni in Parlamento più che alla sicurezza del consumatore finale punti a disincentivare il fenomeno dell’HomeRestaurant mettendo rigidi paletti. Ordinerete un pollo alla diavola? Non saranno importanti gli standard con i quali sarà preparato, l’aspetto che più preme al legislatore è che possano essere pochi a poterlo ordinare.