L’esercito iracheno è entrato a Mosul. A due settimane dall’inizio dell’offensiva contro lo Stato islamico, le prime unità militari irachene sarebbero penetrate nel quartiere di Al Karama, periferia est della città. A confermare la notizia è stato il generale Wissam Araji, comandante dei servizi anti terrorismo addestrati dalle truppe americane. Le truppe governative, con il supporto dei Peshmerga curdi e delle milizie sciite filo iraniane, continuano la loro avanzata anche se è presto per cantare vittoria.
La guerra contro i jihadisti sarà lunga. L’Isis, notevolmente indebolito, continua a resistere utilizzando ogni mezzo a disposizione per sbarrare la strada ai suoi nemici. Secondo le Ong presenti nell’area, lo Stato islamico massacra senza pietà chiunque sia sospettato di collaborare con il governo iracheno. Nella sola giornata di lunedì sono stati uccisi più di 300 civili a nord di Mosul, secondo quanto riportato da media iracheni. Notizie inquietanti, a cui si aggiungono numerosi report che testimoniano la fuga di centinaia di jihadisti dalla città, pronti a ingrossare le fila dell’Isis in Siria. Intanto il premier iracheno al Abadi, ha lanciato l’ultimatum ai terroristi ancora presenti in città: “Non avete scelta, o la resa o la morte. Ci avviciniamo da tutti gli angoli e – a Dio piacendo – mozzeremo la testa del serpente. Non avete via di scampo né via di fuga”. Parole che riflettono la determinazione del governo iracheno nel portare a termine la missione il prima possibile, sia per evitare un inutile bagno di sangue, sia per evitare ad altri di entrare nella disputa. Le forze in campo a Mosul riflettono, infatti, il delicato equilibrio geopolitico dell’area. A stringere d’assedio la città ci sono tutti. Le forze regolari irachene, determinate a riscattare la disfatta di due anni fa quando vennero sbaragliate dai miliziani dell’Isis, le milizie sciite, sostenute dall’Iran, i curdi di Barzani, la coalizione internazionale a guida Usa e i turchi presenti in massa nella base di Bashiqa, a nord di Mosul.
A preoccupare Baghdad è proprio il ruolo della Turchia. Più volte il governo iracheno ha chiesto il ritiro dei militari di Ankara, denunciando l’ingerenza turca nella zona nord del paese. I turchi, per tutta risposta, hanno aumentato la loro presenza nell’area, con la scusa di voler proteggere la popolazione sunnita, minacciata dalle milizie paramilitari sciite. Giustificazioni che gli iracheni vedono come un pretesto per la creazione di una gigantesca zona di influenza nell’area. Uno scenario che riflette il sogno neo ottomano del presidente Recep Tayyip Erdogan. La Turchia, costretta a ridimensionare le sue velleità egemoniche sulla Siria, non vuole ora perdere l’Iraq, tassello fondamentale per il disegno geopolitico dell’attuale governo. Sul campo la situazione resta drammatica. Mosul rischia di diventare una nuova Aleppo. Più di un milione di persone sono intrappolate in città, sotto il fuoco incrociato di jihadisti e governativi e alla mercé della violenza dei miliziani in ritirata. Chi invece è riuscito a scappare è stato accolto nei campi profughi allestiti dal governo e dalle Nazioni Unite. Una situazione prossima al collasso che potrebbe provocare fino a 900.00 profughi secondo le stime del ministero degli Esteri russo.