Rapporti e percentuali a parte, abbiamo deciso di capire più da vicino chi sono i nuovi poveri “made in Italy”. Siamo andati al Centro ascolto italiani – Caritas di via Marsala a Roma, nelle immediate vicinanze della stazione Termini, dove abbiamo incontrato Carlo (nome di fantasia), che ci ha raccontato la sua storia. La vera identità, però, ha preferito non rivelarla. Forse per vergogna. Ecco il viaggio di Ofcs.report tra gli ultimi.
Qui, come in tutta Italia, li trovi in attesa di un posto dove dormire o di un pasto caldo. C’è chi li chiama “clochard” e chi “senza tetto o senza fissa dimora”. Fatto sta che sono uomini e donne privi ora di qualsiasi identità, ma che un tempo avevano esistenze simili alle nostre con una famiglia, degli amici e un lavoro. Non serve nemmeno entrare nel centro ascolto della Caritas per incontrali, alcuni chiacchierano fra loro, altri semplicemente si ignorano.
Come Carlo, che in disparte e in un angolo, guarda fisso davanti a sé il viso stanco, segnato, incorniciato da una barba incolta. Gli abiti sporchi, ma comunque dignitosi. È solo tarda mattinata, ma deve aver già bevuto qualche bicchiere di troppo. “Birra – mi spiega – Costa poco, e fa sentire la pancia piena. Ma è quando riesco a rimediare qualche bottiglia di vino che i pensieri se ne vanno”.
Carlo, come molti altri, fino a poco tempo fa conduceva quella che si chiama una vita tranquilla. Poi da quando ha perso il lavoro tutto è precipitato: “È stato come vivere in un incubo da cui non mi sono più risvegliato. Dopo anni di lavori precari, finalmente avevo trovato un posto come capo magazziniere in una ditta di meccanica. Lo stipendio era buono e grazie alla busta paga, finalmente io e mia moglie che lavorava come aiuto parrucchiera, potevamo permetterci di accedere ad un mutuo. Poi, dopo neanche tre anni, la ditta va in crisi e dall’oggi al domani licenzia tutti, causa fallimento. Io all’inizio tenevo duro, cercavo altri lavori: cameriere, fattorino, autista, commesso, ma ogni volta venivo scartato per persone più giovani di me. Mia moglie mi aiutava come poteva, ma il suo stipendio part time ci permetteva a malapena di arrivare a metà del mese fra bollette e scadenze, tra cui le rate del mutuo. Passavano i mesi e continuavano ad accumularsi fino a quando la banca ci ha chiamato e le cose sono andate come sono andate. Ci hanno pignorato casa. Per avere ancora un tetto sopra la testa ci siamo trasferiti dai genitori anziani di lei, ma io sono caduto in depressione e ho cominciato a bere, diventando violento e aggressivo e alla fine lei mi ha cacciato. Sembra ieri che guardavamo insieme i nostri programmi preferiti in Tv. Sembra ieri che avevo poco, ma avevo tutto”.
È ora di pranzo, Carlo si allontana. Lui non vuole rischiare di restare indietro rispetto agli altri. Non vuole rischiare di perdere un pasto caldo che “oggi c’è, ma domani non si sa”.