Nel mezzo della campagna elettorale Usa più polarizzata degli ultimi 70 anni ci dimentichiamo dei fatti, quelli duri, che influenzano la vita di milioni di famiglie. Il dollaro forte, ad esempio. Si dice presidente debole, dollaro forte e viceversa. Oggi il dollaro alto è un perfetto controsenso per l’America, il mantra di Obama di un miracolo economico durante il suo doppio mandato – mantra tanto sbandierato quanto discutibile – sta diventando un boomerang per Washington, implicando la conseguenza di una valuta forte.
Un bluff. Come spiegato nelle scorse settimane, gli Usa sono più economicamente traballanti di quanto la retorica pre-elettorale finalizzata a confermare un democratico alla Casa Bianca possa far sembrare: le grandi banche di Wall Street vedono molto probabile una recessione Usa il prossimo anno.
Il dollaro forte non farà altro che corrodere ulteriormente la competitività globale delle corporations Usa, indebolendone i risultati economici, ovvero le valorizzazioni di borsa e di conseguenza l’economia a stelle strisce. Se aggiungiamo che la ripresa sbandierata da Obama negli scorsi 8 anni è basata su un aumento del debito pubblico esplicito (esclusi gli oneri pensionistici e sanitari) di circa il 50% e di una riduzione dei disoccupati – non necessariamente degli occupati – grazie ad impieghi a basso valore aggiunto come camerieri, inservienti, baristi ecc..capiamo che le sorprese per gli sprovveduti che restano investiti in borsa Usa saranno amare nel 2017 (per il seguito, dollaro debole e/o recessione comporteranno la riduzione dell’import Usa).
In tale contesto le ricette dei due candidati alla presidenza sono agli antipodi: Trump vuole far ripartire l’America con un sostanziale disimpegno come gendarme globale, oggi a costo zero per gli alleati. Ossia un indebolimento del dollaro con il sostegno implicito della Cina, con cui si condivide il concambio delle valute (lo yuan ed il dollaro sono legati da un rapporto di cambio semirigido). Mentre H. Clinton punta ad un maggiore interventismo ideologico americanista, a difesa di un dollaro globale forte, ormai tradito nella sostanza da tutti gli alleati che contano, ad esclusione di quelli più indifesi e traballanti come le petromonarchie (nessuno ci ha detto da chi verrà finanziato detto interventismo).
Oggi un dollaro forte serve per mantenere lo status quo globale evitando catastrofi in regioni a dominio Atlantico, ad esempio l’Ue. E’ infatti certo che un indebolimento del dollaro manderebbe in frantumi il progetto dell’euro, attraverso la rapida implosione selettiva dei paesi europeriferici meno in grado di assorbire un difetto di competitività delle proprie economie già prostrate dall’austerità (è parimenti certo che l’asse franco-tedesco, che oggi non paga per la difesa Nato, punta a sostituirsi agli Usa nel controllo del vecchio continente, guardando ad est e dunque tradendo i valori atlantici). O nei mercati emergenti, sebbene un indebolimento della valuta Usa comporterebbe un aumento delle materie prime trattate in dollari (a maggior ragione il danno più importante sarebbe a carico dell’eurozona che di petrolio non ne ha). Vero è che il dollaro calante aiuterebbe la Cina, ma tale aspetto è ininfluente in quanto Pechino sta già svalutando unilateralmente. Possiamo concludere che gli Usa hanno la chiave del futuro, quanto meno economico del pianeta, che molto probabilmente – a meno di una guerra mondiale- vedrà o un crollo economico americano o il ridimensionamento degli Usa in termini di dollaro globale (forte). O entrambe le cose.